Zdenek Zeman: l’allenatore e l’ uomo, sempre contro il sistema

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Updated: Settembre 16, 2014
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Chi è Zdenek Zeman? Un uomo, un personaggio di 67 anni, di cui cinquanta di sport in prima fila. Contro tutto e tutti e con nuove filosofie, polemiche, battaglie contro poteri solidi e baluardi insormontabili. E’ un uomo che per scelta di vita non è mai sceso a compromessi. Noto per commenti dissacranti, Zeman è anche dispensatore di saggezze condivisibili senza se e senza ma. Un esempio? «La grande popolarità del calcio nel mondo non è dovuta alle farmacie o agli uffici finanziari, bensì al fatto che in ogni piazza, in ogni angolo del mondo c’è un bambino che gioca e si diverte con un pallone tra i piedi». Difficile dargli contro.

UN VERO PERSONAGGIO

E’ un vero personaggio fuori dagli schemi per quanto riguarda il mondo del calcio basti riflettere sulle sue battaglie contro il calcio dopato, il rispetto per il suo integralismo nel modo di far giocare le sue squadre, “per coprire il campo non esiste un modulo migliore del 4-3-3″, ammirato per i suoi metodi di lavoro “pretendo che ogni giocatore dia il meglio di se stesso, nel rispetto dell’esigenza di fare spettacolo. Se non vinciamo, nessun dramma. Mi basta che i ragazzi abbiano dato il massimo“, questa è la filosofia calcistica del boemo.

CONTRO IL SISTEMA E CONTRO TUTTI

Era il 25 luglio del 1998, la sua squadra, la Roma, era in ritiro a Predazzo e stava svolgendo la preparazione per il nuovo campionato, il tecnico boemo rilascia un’intervista che scuote dalle fondamenta il “palazzo” del calcio italiano. E’ un fatto incontrovertibile che il mondo del calcio non gli ha mai perdonato la sua libertà, la sua onestà. Hanno fatto di tutto per danneggiarlo.

Anni fa un giornalista gli aveva domandato cosa non gli piacesse nel calcio italiano lui non aveva potuto fare altro che rispondere con la verità: «Io vorrei che il calcio uscisse dalle farmacie e dagli uffici finanziari e rimanesse soltanto sport e divertimento». Da quella intervista iniziano le indagini sul doping, i processi, gli interrogatori, le accuse, gli insulti. Era stato chiamato “terrorista”, odiato ed era diventato il nemico del sistema. E, poco dopo, erano cominciati anche i torti arbitrali, i risultati falsati con il preciso scopo di indebolirlo. Dopo il dispiacere iniziale aveva cominciato a farci l’abitudine. Aveva dovuto farlo. Semplicemente si era rassegnato all’idea che qualcuno, in un altro modo, decidesse come dovessero finire le sue partite.

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