La cronaca di una partita, il destino di una squadra

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Updated: Maggio 19, 2017

“Èthos antròpoi dàimon” diceva molti secoli fa il filosofo greco Eraclito, riuscendo ad esprimere in una frase concisa ed efficace un concetto che personalmente mi sembra condivisibile anche oggi, a distanza di tanto tempo: il carattere dell’uomo è il suo destino, ovvero ogni uomo contiene già in sé ciò che determinerà la sua storia e la qualità della sua esistenza, al di là degli accadimenti esterni o del caso. Credo che questo concetto si possa applicare anche nel calcio, dal momento che nessun vero tifoso arriverà a negare che ogni squadra ha una sua anima, che la propria squadra ha un’anima che le dà un carattere unico e la distingue da tutte le altre.

La finale di Coppa Italia mi sembra riflettere gli atteggiamenti propri del Dna di Juventus e Lazio: la Juventus, la corazzata costruita con grande intelligenza per essere inarrestabile in Italia e provare ad imporsi finalmente anche in Europa; e la Lazio, la falange che ha raggiunto gli obiettivi sperati lottando con tanta grinta ed entusiasmo. Quando tifi per la Lazio e affronti la corazzata in finale, sfida secca, la questione si fa ardua; è difficile che la spunti, non succede quasi mai. La Juventus ne ha sempre più di te, di qualunque cosa si tratti, talento, potenza, qualità, ne ha sempre di più.

Puoi batterla solo con tanto cuore e con la testa. Cuore e testa, Amore e Ragione insieme. Ma hai anche una sola opportunità, e se la manchi allora capita che perdi la testa, e perdi la partita. E così se Keita al sesto minuto ci prova e il pallone carambola sul palo forse l’opportunità è già sfumata, e pensi che non si presenterà più, che il pallone non entrerà; se Biglia comincia a sbagliare nell’impostare l’azione, forse anche i gesti tecnici più semplici saranno destinati a fallire tristemente; e se Parolo è costretto ad uscire dopo appena 20 minuti, pensi che sei proprio sceso in campo con la luna di traverso. Allora per la Juventus è tutto facile: tiene il gioco, segna, costringe Strakosha a fare le prove con l’aureola, segna ancora, e la Lazio non ha più la testa per reagire. La partita diventa davvero difficile anche solo da guardare. Se poi sei costretto a vedere la diretta Rai e ti tocca ascoltare il prezioso commento tecnico, la sofferenza è completa, un vero contrappasso dantesco per i lussuriosi amanti del calcio. Ma la cosa peggiore viene dalle gradinate, perché per quanto giochi nello stadio di casa, lo stadio di tante belle vittorie e tanti incontri sofferti, i tifosi della squadra di un’altra città sembrano cantare sempre più forte di te, dei tuoi. Perché sono tanti, perché sono motivati e felici, e allora cantano. E questo si che fa male.

Poi la Lazio nel secondo tempo entra più determinata, si ricorda i fondamentali del calcio, ci prova e si mostra ancora viva. La Lazio ritrova la testa. Non che cambi qualcosa: Neto è una calamita per i palloni, che infatti gli arrivano tutti centrali, tutti facili. Ma finalmente rivedi la squadra che ti ha emozionato per l’intera stagione, rivivi lo spirito che ti ha portato a combattere e vincere tante volte. E anche se sai che la partita non cambierà, quando vedi quanto cuore mettono in ogni contrasto, quando vedi quanto corre Immobile, quanto corrono Basta e Biglia, quanto spendono e si dannano per raggiungere un pallone inarrivabile, riscopri la bellezza di un gruppo che vuole ancora dimostrare tutto il suo valore, che rialza la testa e non si arrende fino al triplice fischio. E ti senti orgoglioso di essere rappresentato da quei giocatori. Questo orgoglio i tifosi della Nord lo hanno sentito, ed hanno chiamato la squadra sotto la Curva a ricevere il meritato plauso; e l’ha capito il Signor Inzaghi, che a partita finita ripeterà più e più volte: “Onore ai miei ragazzi”.

“Probabilmente c’era il destino che questa partita la si doveva perdere” dirà ancora il Signor Inzaghi in conferenza stampa, riferendosi agli infortuni ed agli episodi, e forse ha ragione. Ma io credo invece che il destino di questa partita sia stato di dare il massimo contro giocatori più forti, combattere fino all’ultimo respiro e uscirne a testa alta. Forse il dàimon, il destino della Lazio è lottare, dare tutto e lottare fino a che il sogno si infrange, come è successo ieri sera; e dopo ricominciare a sudare e a correre dietro un nuovo obiettivo, e magari vedere sfumare anche questo. Ma se non si smette mai di combattere prima o poi si compie il miracolo e il sogno si realizza, e magari viene coronato proprio contro i rivali di sempre. Onore a chi combatte, onore ai nostri ragazzi.

Luca Casotto

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