Atleti che hanno fatto di tutto per essere a Pyeongchang

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Updated: Febbraio 9, 2018

Ben 92 nazioni partecipanti, sei di loro – Ecuador, Eritrea, Kosovo, Malesia, Nigeria e Singapore – al debutto assoluto in un’Olimpiade invernale. E tra questi, atleti che non hanno mai visto la neve o gareggiato sul ghiaccio. Le Olimpiadi, suggello glorioso per ogni sportivo, non sono mai stati eventi meramente sportivi: c’è storia politica, sociale e individuale.
Storia di nazioni e storia di chi, nonostante tutto, vuole ritagliarsi uno spazio per onorare i colori della propria bandiera. Anche partecipando da solo.

XXIII Giochi olimpici invernali di Pyeongchang 2018 sono anche questo, un po’ esotici e premiano la caparbietà di chi crede in un sogno che sembra dannatamente irrealistico. Allenarsi con soluzioni improvvisate e alternative, chiedere alle federazioni un supporto, finanziarsi con campagne crowdfounding e molto altro. E poi ci sono 17 nazioni rappresentate da un solo atletaal punto che verrebbe quasi da ridere parlare di squadra olimpica. Eppure ci sono con i loro sforzi e la loro storia da raccontare.

Chi non ha bisogno di presentazioni è Pita Taufatofua, detto anche l’uomo di Tonga. Primo atleta dello stato polinesiano a partecipare a un’Olimpiade, quella di Rio 2016, in qualità di atleta ditaekwondo. Ma Pita, che non è passato inosservato dopo la sfilata a torso nudo come portabandiera nella cerimonia di apertura di due anni fa, ci prova anche quest’anno – un po’ a sorpresa – nello sci di fondo.

E nella stessa disciplina troviamo un debuttante, Klaus Jungbluth Rodriguez che porta l’Ecuadorper la prima volta alle Olimpiadi invernali. Ex sollevatore di pesi, aveva smesso di fare sport a causa di un infortunio, ora nel paese sudamericano lo chiamano “lo sciatore dell’asfalto” perché per allenarsi in strada, per mancanza di neve, usa un paio di skiroll fabbricati in Norvegia.  Ma non è tutto perché per poter essere presente a Pyeongchang, Rodriguez ha dovuto convincere il Comitato Olimpico dell’Ecuador a fondare una federazione degli sport invernali.

Dall’Argentina sono partiti, invece, in sei e tra loro ci sono anche i fratelli Nicol e Sebastiano Gastaldi che, in realtà, sono nati in Italia, a Piove di Sacco, non lontano da Padova: il padre, un istruttore di sci, ha sposato un’italiana. Italiana a tutti gli effetti, ma con cuore sportivo togolese è Alessia Afi Dipol, una dei due atleti che schiera in campo il Togo: nata a Pieve di Cadore, già affiliata per alcuni anni alla Federazione sciistica indiana, poi naturalizzata togolese, è stata portabandiera a Sochi 2014.

Un po’ di sana follia, tanta passione, tantissima grinta e “patriottismo”: Albin Tahiri è il primo atleta kosovaro in una Olimpiade. Ha 18 anni, è anche lui sciatore, sloveno, ma suo padre è originario del Kosovo. Quando il paese si è autoproclamato indipendente dalla Serbia nel 2008, Albin che aveva appena 10 anni era già convinto: nei suoi sogni voleva aiutare a rappresentare il Kosovo nel mondo dello sport.

E poi c’è chi, negli ultimi due anni, ha fatto il rappresentante di aspirapolvere porta a porta. Ovviamente per pagarsi il viaggio in Corea. E’ il trentunenne ghanese Akwasi Frimpong, unico della sua nazione, presente nello skeleton. Immigrato irregolare in Olanda per 13 anni prima di ottenere il passaporto olandese, Akwasi ha mancato la qualificazione ai Giochi estivi del 2012 come velocista, mentre è stato riserva nella squadra oranje di bob a Sochi, nel 2014. Ora gareggia da solo, ma si carica sulle spalle l’intero continente africano: «Voglio dire alle persone che bisogna osare nel sognare: questi giochi sono per me un modo di superare le barriere e mostrare che anche i neri e gli africani possono fare lo sport». Prendere spunto, per esempio, dalla Nigeria che, con le sue tre atlete, è il giusto esempio.

La Thailandia, invece, punta sui fratelli fondisti, Mark e Karen Chanloung, nati e cresciuti in Valle d’Aosta, mentre con poco più di un milione di abitanti, Timor Est è tutta nella mani di Yohan Goutt Goncalves che già nel 2014, a Sochi, ha contribuito a portare il paese ex colonia portoghese e indonesiana al debutto ai Giochi invernali.
Amore per la patria di sua madre, fuggita dalla guerra, un pausa di 18 mesi per contribuire ad alcuni progetti umanitari. Ora Yohan, a 23 anni, è nuovamente pronto: «Quando avevo otto anni feci un sogno, volevo le Olimpiadi e sono onorato di rappresentare Timor Est perché è importante che tutti possano conoscere l’esistenza di questo paese».

La storia di Yohan è la storia di tanti altri atleti. Quelle di Pyeongchang sono storie di singoli uomini, storie che accomunano tutti, vincitori e vinti.

Mondiali.it

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